Non ho parlato by Angelo Ioppi

Non ho parlato by Angelo Ioppi

autore:Angelo Ioppi [Ioppi, Angelo]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Minerva
pubblicato: 2014-09-29T22:00:00+00:00


Tuo marito Angelo

P.S – Vai da tua madre e ritirala a casa tua; così io starò più tranquillo, poiché starai con una persona che ti vuole bene.”

Non erano certo queste delle frasi forbite e retoriche, ma buttate giù in fretta e senza ordine. Erano frasi di un uomo, che aveva vivo desiderio di scrivere molto, al momento del suo definitivo distacco, ma non aveva la possibilità pratica di farlo.

***

Pochi giorni prima del 4 giugno, in una nuova selezione operata dal comando tedesco sui detenuti, furono inviati molti di questi verso il nord, a mezzo di carri bestiame. Fra questi c’era Valentino Bernardini, il quale, arrestato nella sua abitazione in seguito a delazione di un SS. italiano, certo Giovanni Amadei, entrò in via Tasso il 31 gennaio e vi rimase per ben 114 giorni, fino al 3 giugno, giorno della sua deportazione. Fu torturato anche lui durante tutti gli interrogatori. Fu operata su di lui la finta fucilazione. Le accuse si basavano su attentati. Accuse, queste, che gli procurarono violente bastonature, staffilate, asportazione di 6 denti, perforazione di un polpaccio con un chiodo, senza che riuscissero a farlo parlare. L’11 marzo verso le 11,30 vide attraverso un foro, praticato sulla porta della cella n.18, dove era rinchiuso, suo fratello Tito, arrestato anch’esso. Tito Bernardini magnifica figura di patriota, audace attivista del nostro gruppo di via del Vantaggio, era stato l’autore di molte azioni contro i tedeschi. Destinato alla fucilazione il 7 marzo, con il gruppo di Antonio Bussi, Guido Rattoppatore, Labò, la sua esecuzione fu rinviata invece, e fu prelevato alle 14,30 del 24 marzo e cadde alle Ardeatine. Veniva battuto tre o quattro volte al giorno, era ridotto in uno stato pietoso e il fratello lo vedeva passare prima o dopo l’interrogatorio, ridotto oramai con il corpo piagato e insanguinato dalle battiture. Il fratello Valentino impotente ad aiutarlo, non poteva né comunicare con lui, né far vedere di conoscerlo; ma, anzi, per tacita intesa, dovevano fingere di ignorare completamente l’attività politica rispettiva.

È facile immaginare il dolore sofferto da Valentino, nell’udire i tremendi colpi inferti contro il corpo di Tito, nonché i suoi lamenti, che provenivano dalla cella posta esattamente al piano superiore della sua e l’angoscia esasperante di non potergli prestare minimamente aiuto né conforto alcuno.

Valentino caricato, come dicevo, sui famosi carri bestiame sigillati e guardati a vista, raggiunta la stazione di Verona, approfittando di una occasione propizia, riuscì a fuggire incamminandosi verso Roma dove giunse, dopo aver passato le linee in più punti, il 29 giugno, e dopo aver combattuto insieme ai patrioti contro i tedeschi presso Morgnano, nella provincia di Spoleto.

Nella cella comune, dove eravamo stati tutti raccolti in numero di diciotto, e dove, per cinque ore con insopportabile attesa, aspettavamo la morte, mi incontrai con il capitano dei carabinieri Geniola, al quale dissi chi ero. Questi rivolgendosi ad un altro condannato gli disse: «Qui c’è anche un brigadiere dell’Arma». L’individuo si avvicinò attraversando la cella e mi chiese chi fossi precisamente. «Il brigadiere dei carabinieri Ioppi», risposi.

«Tu Ioppi» mi disse abbracciandomi commosso.



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